Mare nostrum e un po’ solo mio

Mare nostrum e un po’ solo mio

Una selezione dell’autobiografia di Sonja Gherbi tratta dall’opera “Con i piedi fuori dall’acqua” premiata nella Sezione Autobiografie della 2a edizione di Thrinakìa 2014-2015 Premio internazionale di scritture autobiografiche, biografiche e poetiche, dedicate alla Sicilia

Scritture solidali
Scritture autobiografiche di redenzione e rinascita che mettono in luce sentimenti di solidarietà verso sé stessi, gli altri e il mondo, e sollecitano un’autentica solidarietà fra le lettrici e i lettori.
Archivio della memoria e dell’immaginario siciliano
Ateliers dell’immaginario autobiografico © OdV Le Stelle in Tasca

Mare nostrum e un po’ solo mio
Sonja Gherbi

Sopraffatta dallo stupore che la vita mi sa regalare, a volte mi manca il respiro per il troppo vivere intensamente. Con il naso tappato m’immergo in una bolla d’acqua, l’aria mi sfugge dalle narici ma io continuo a respirare: sono in mezzo al mare e dal suo bassoventre correnti d’acqua affiorano per darmi una spinta; mi avvio dentro la mia navicella a forma di bolla, verso quel blu che riempie anche gli occhi più distratti. Potrei essere una donna-pesce, in esilio, che ha imparato a imprecare nella lingua degli uomini e a sognare, amplificando in un’eco il contorcersi dei pensieri più profondi. Ma, ahimè, non sono certo una sirena, io!

Di sirene in questo mondo ce ne sono tante. Molte non le vediamo, altre non sanno di esserlo. Alcune non salgono mai a galla, altre ancora preferiscono restare nella penombra, tra uno scoglio sicuro e la vista della terraferma mentre l’acqua le accarezza. Certe sirene, invece, decidono di manifestarsi liberamente. Sottoponendosi a metamorfosi, concepiscono un nuovo mondo, spesso facendo della loro natura una terra di accoglienza.

Lo so, mi diletto con le parole e dimentico di presentarmi! Mi chiamo Sonja, pronunciato in italiano come Sonia ma scritto come un nome straniero. Sono nata tra due mondi ma come tutti il mio spirito è in perpetuo movimento, in un’altalena di convinzioni, verità relative e giochi di comunicazione.

Ogni cosa nel mio mondo, che è fatto di due, non ha mai un’unica tinta ma tratti e bordi da rifinire o ricucire come una stoffa: un tessuto che può garantire calore e conforto, contaminarsi con altre tinte e dissolversi in nuvole, quando la stagione è arida, quando la terra è assetata e il sole fa da padrone nella gran sartoria che è il cielo.

Attraverso i miei occhi, scruto luoghi di frontiera e vado oltre, perché per me, gli occhi, sono il varco per le cose in cielo e in terra e per l’universo “tuttu paru”.

Mi diletto a mettermi in discussione, per capriccio e per venire incontro alle metamorfosi dell’anima, le stesse che scolpiscono le immagini delle cose mutandone la sostanza, cosi che l’essenza diventa materia da contenere e modellare, una mera illusione e, ancora, un’altra inutile frontiera.

Per non parlare dell’altalena delle emozioni, capace di rendere tutti, a turno, giocatori di prestigio, i migliori illusionisti, come quei maghi di professione e come tutti coloro che, per aver operato con il divino, pretendono di tenere in tasca il futuro e, con esso, il destino dell’umanità.

Proprio il destino mi ha portata fin qui, come una bottiglia trascinata dalle correnti, galleggiando verso terre sempre lontane e, come una bottiglia in mare, m’immergo e riemergo tra i suoi flutti. In un moto cangiante, senza sapere il perché o quale potrebbe essere la meta da raggiungere, tra spintoni d’onde e dondolii d’acqua, scopro un oceano di mare e, ancora, un mare di altre possibilità.

All’insaputa di tutti, continuo a fluttuare solo per tracciare sulla scia del sole la linea che delimita il mare. Tepore e vita mi assalgano dall’interno mentre su di me si disegnano i primi solchi del tramonto. Io, sempre a galla tra le due sponde dello stesso mare, un po’ Mare Nostrum e un po’ solo mio.

Se vi trovate a passeggiare per le strade delle vostre città, potete incontrarle mentre fanno la spesa al supermercato, mentre rincorrono un autobus per la fretta di arrivare a destinazione, sotto la pioggia con tacchi come palazzi attaccati ai loro piedi, sotto abiti di donne in carriera o nel ruolo di ristoratrici per viandanti in cerca di un po’ di calore o di frescura secondo le stagioni della vita. Né l’abito che indossano, né la nudità dei loro corpi sono segno distintivo dell’essere una creatura fra due mondi. Chi le cerca le trova raramente, sfumano in illusione. Chi crede che questo mondo sia l’unico, se li ritrova a fianco, vicine nella solitudine.

La voce di donna accompagna sempre lo scricchiolio delle porte di altri mondi. A questi uomini distratti e senza forze non resta altro che digrignare i denti tutte le sere, arrendersi alla solitudine, restare in superficie e decidere di non vedere altro se non i confini della loro percezione, accantonando le sfumature che rendono fruibili bellezze immortali e il loro riflesso nelle cose di tutti giorni.

In questo mondo non esiste altro se non ciò che siamo. Il difficile è capire chi siamo e non sempre bastano i nostri occhi o gli altri sensi a colmare le lacune di ciò che può essere a noi conoscibile. Io inseguo l’odore del mare e sempre, in quella direzione, trovo la mia destinazione.

È vero, sono nata in Sicilia ma avendo un’altra possibilità, la mia culla sarebbe sempre una terra di mare. Ciò non perché sono una sirena, ma perché nella confusione dei pensieri e nel miscuglio dei sapori tra le mie labbra, vedo all’orizzonte la felicità, stabile nelle acque che incontro e dalle quali i miei piedi fuoriescono, a raccogliere il tepore della terra che finalmente mi appartiene per intero. L’Etna a Nord, il mare davanti e la vita che scorre a solleticarmi i piedi.